La Politica commerciale dell'Unione europea di fronte ai processi di globalizzazione

La Politica commerciale dell'Unione europea di fronte ai processi di globalizzazione

Maurizio Iovinelli / 10 giugno 2025

Commento n. 002/2025 NS

Il commercio internazionale è senz’ombra di dubbio uno dei temi su cui l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’accademia si è rivolta maggiormente nelle ultime settimane. L’introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione americana guidata dal presidente Trump ha riacceso l’annoso dibattito che vede contrapposti, da un lato, gli strenui difensori della liberalizzazione commerciale e, dall’altro, coloro che, invece, difendono il diritto di imporre delle misure protezionistiche a difesa del proprio settore industriale e produttivo e, in generale, della propria economia.

In tutto questo, dove si colloca l’Unione europea (Ue)? In quale modo è mutata la condotta commerciale europea a fronte dei cambiamenti radicali scaturiti dai processi della globalizzazione? Quali azioni ha intrapreso l’UE al fine di fronteggiare l’emergere di strategie commerciali neo-protezioniste e neo-mercantiliste? Infine, qual è l’impatto complessivo delle politiche neo-protezioniste e neo-mercantiliste sulla stabilità del sistema internazionale e dell’ordine liberale fondato su regole?

A tali quesiti tenta di rispondere, seppur non con la pretesa di essere esaustivo, il saggio Al Riparo dalla Globalizzazione. A dispetto di quanto sembra suggerire il titolo, il testo mira ad analizzare la condotta commerciale europea mettendone in luce l’evoluzione non attraverso un singolo accordo commerciale con un determinato paese o con una specifica regione del mondo, bensì mediante la lente della globalizzazione. La scelta di indagare la politica commerciale comune non discende solamente dalla maggiore attenzione mediatica e accademica riservata al fenomeno ma anche dall’estrema importanza del commercio quale strumento non convenzionale della politica estera; infatti, se è vero che il commercio è da sempre stato impiegato per il perseguimento degli interessi nazionali in tempo di pace, è altrettanto vero che l’Ue, non disponendo di una vera e propria politica estera autonoma, ha sviluppato nel corso degli anni tutta una serie di politiche, tra cui quella commerciale, che le consentono di proiettarsi sul sistema internazionale e di salvaguardare le proprie priorità strategiche.

Secondo la celebre formula unidentified political object coniata da Jacques Delors (1925-2023) nel 1985, l’analisi di qualsivoglia aspetto abbia a che fare con l’UE richiede la necessità di andare oltre le categorie canoniche con le quali si è soliti studiare gli Stati nazionali. Difatti, l’Ue è un’organizzazione internazionale sui generis la cui struttura e il cui funzionamento dipendono da un intreccio complesso e, talvolta agli occhi dei più, farraginoso di relazioni politiche ed economiche tra i vari soggetti che intervengono nel processo decisionale. Allo stesso tempo, le dinamiche europee sono influenzate anche da fattori esogeni, vale a dire da elementi che sfuggono al controllo diretto delle istituzioni di Bruxelles e che riguardano perlopiù le azioni intraprese dagli Stati terzi e dalle organizzazioni internazionali. Da questa premessa deriva l’attenta descrizione della genesi e dello sviluppo endogeno della politica commerciale comune: del resto, la comprensione del quadro normativo, della ripartizione verticale e orizzontale delle competenze e degli strumenti commerciali di cui dispone Bruxelles per il raggiungimento dei propri obiettivi risulta essere funzionale allo studio del rapporto tra la globalizzazione e la condotta commerciale europea.

Per poter valutare efficacemente l’evoluzione della condotta commerciale europea, è opportuno prendere in considerazione la forza gentile dell’Ue che si è espressa attraverso il potere normativo e la preferenza del soft power all’hard power. Se nei primi quarant’anni circa del processo di integrazione europea le istituzioni di Bruxelles hanno saputo coniugare in maniera lungimirante i propri interessi economici con quelli degli altri attori del sistema internazionale, a partire dagli anni ’90 del Novecento si è cominciato a intravedere un’inversione di rotta nella definizione della strategia commerciale europea; alla base di tale mutamento si ritiene che ci sia la degenerazione della globalizzazione: essa, oltre ad aver indubbiamente contribuito alla crescita e allo sviluppo economico in moltissimi paesi, ha contestualmente prodotto grandi fratture sociali ed economiche alimentate, a loro volta, dalle disuguaglianze sia tra gli Stati sia al loro interno. La cattura diseguale del valore, spesso frutto del gioco di forza e dei compromessi tra le imprese transnazionali e gli Stati, insieme con l’incertezza sistemica apportata dalla globalizzazione hanno incoraggiato via via gli esecutivi e i parlamenti a introdurre politiche neo-protezioniste e neo-mercantiliste. L’Ue, certamente, non è stata immune da questo processo e, in virtù di una sorta di principio di azione e reazione mutuato dalla fisica newtoniana, ha ideato una serie di strumenti e un quadro normativo volti a mitigare gli effetti negativi del protezionismo commerciale sui produttori e consumatori europei. Nondimeno, le istituzioni europee sono andate ben oltre e, nel tentativo di affermarsi nel mutato scenario economico e commerciale internazionale, hanno inaugurato la cosiddetta età adulta dell’Unione, ossia una nuova stagione della politica estera strutturale europea in cui il perseguimento dei collective e degli other-regarding interests è stato abbandonato in favore della salvaguardia dei self-regarding interests. La svolta della politica commerciale europea è, in realtà, coerente con il relativo declino del multilateralismo e delle organizzazioni internazionali: le dichiarazioni, le risoluzioni e i comunicati stampa dell’UE rinviano a quella narrazione securitaria che si è progressivamente imposta nelle relazioni internazionali e rispondono all’esigenza di sviluppare una strategia geoeconomica che faccia fronte al mondo post-globale, ovverosia a un mondo che è certamente più connesso e più complesso, ma anche e soprattutto più conflittuale.

In un contesto di crescente frammentazione del sistema internazionale, le diverse politiche commerciali, indipendentemente dal fatto che perseguano una maggiore liberalizzazione commerciale oppure mirino a proteggere la propria industria ed economia, possono alimentare le tensioni tra gli Stati: proprio per tale ragione, si evidenzia come la mancanza di regulatory coherence, associata all’esternalità negative della globalizzazione, costituisca la causa profonda dello sviluppo del neo-protezionismo e del neo-mercantilismo. Per essere più precisi, il problema non è di per sé il protezionismo commerciale (ci sono, infatti, diverse situazioni in cui anche gli accordi GATT stabiliscono la sua liceità), bensì il fatto che manchi a livello internazionale un consenso su cosa è lecito e cosa non lo è. Non a caso, nel contesto internazionale odierno le politiche pubbliche, che pure perseguono obiettivi di interesse collettivo come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico, vengono spesso criticate da Stati terzi e classificate come pratiche protezioniste che ledono la leale concorrenza.

In conclusione, l’analisi dell’evoluzione della politica commerciale dell’Ue di fronte ai processi della globalizzazione ha consentito di mettere in luce una caratteristica estremamente importante della realtà contemporanea: la complessità. Postulare la complessità non significa affermare a priori l’impossibilità di comprendere i fenomeni analizzati ma, al contrario, implica la necessità di valutare attentamente le interazioni tra le diverse parti che contribuiscono al realizzarsi di una determinata dinamica. La politica commerciale comune è in questo senso complessa ma ciò non deve condurre a pensare erroneamente che essa sfugga al controllo dei policy-makers: nelle scelte commerciali, così come in generale nelle relazioni internazionali, un ruolo decisivo è giocato dall’agency degli attori; l’Ue può ancora svincolarsi da quella rassegnazione al ritorno della politica di potenza espressa dalla logica del bellum omnium contra omnes e può, così, contribuire a una nuova stagione del multilateralismo nelle relazioni internazionali.

*Junior Visiting Fellow FCSF

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